Negli ultimi mesi abbiamo parlato di tutte le novità per la professione del fisioterapista: riforme sull’università, nuove figure professionali, possibili aumenti di stipendio nel pubblico. Tutte buone notizie, ma ci sono dei punti aperti, che molti di noi chiedono a gran voce, di cui non abbiamo ancora parlato. Vediamo insieme quali.
Su fisioterapisti.org cerchiamo di restituire un quadro il più realistico possibile su cosa significa fare il fisioterapista in Italia.
Impossibile essere perfettamente oggettivi, ma per quanto ci riesce cerchiamo di non essere nè troppo ottimisti nè troppo pessimisti, e cercare di descrivere con una buona approssimazione cosa può aspettarsi qualcuno che sceglie questa carriera, sia nel bene che nel male.
È semplicissimo giungere alla conclusione che questo lavoro faccia schifo dopo aver letto un singolo commento su Instagram postato in un momento di frustrazione, dopo una lunga e faticosa giornata, da qualcuno che sta passando un momento no.
Perché è semplicissimo?
Perché secondo le scienze comportamentali siamo affetti dal negativity bias (o pregiudizio della negatività in Italiano), per cui si dà più peso ad una recensione negativa rispetto a tante recensioni positive (e questo è anche un ottimo spunto per chi sta cercando informazioni sul marketing per trovare nuovi pazienti).
Ma giungere a questa conclusione è fuorviante, perché la realtà è molto più complicata di così (e anche molto meglio, per la stragrande maggioranza dei fisioterapisti).
La propria carriera all’inizio può fare schifo, ma tante altre carriere, anche più blasonate e che richiedono investimenti iniziali più elevati (avvocati, commercialisti, architetti), sono infinitamente peggio in questa fase (laurea di 5 anni, pratica di tre anni obbligatoria non pagata, esami di abilitazione infernali, ecc).
Visto che se decidi di non fare il fisioterapista comunque dovrai fare altro, tienilo a mente.
Inoltre per tantissimi può anche iniziare alla grande e comunque per tutti tende a migliorare di lì in poi.
Diventare fisioterapisti è un po’ come ricadere in questa curva: la stragrande maggioranza delle persone è nel centro, conducendo una vita lavorativa tra il decente, l’okay e il mica male. A sinistra c’è chi non se la passa benissimo, e a destra chi fa i soldi veri. Sul totale sono pochissimi, entrambi.
E se in generale poche persone fanno notizia, non sentiamo quasi mai la voce di quelle al centro. Inoltre, per il negativity bias quelli a sinistra fanno ancora più notizia, distorcendo la realtà e l’opinione di chi vuole diventare fisioterapista perchè si tralascia l’esperienza del restante 90-95% e oltre.
Per quanto riguarda le cose che non vanno, la mia opinione è che non esiste un lavoro perfetto, e il fisioterapista non fa eccezione.
Ci sono sempre cose che possono essere migliorate, soprattutto se si guarda ad un’intera categoria fatta di decine di migliaia di persone: è impossibile che almeno una piccola parte di questi non abbia un singolo problema.
Liquidare la questione lamentandosi: “eh siamo in Italia che ti aspetti!”, quanto è effettivamente utile?
“Eh ma a noi italiani piace lamentarci”. In realtà non è una peculiarità italiana, quindi non portiamo avanti questo mito e rimbocchiamoci le maniche:
Quindi questo non vuole essere un articolo pessimista o ottimista, semplicemente è inevitabile che nel grande schema delle cose alcuni aspetti vadano bene e altri no. Direi di partire col primo.
Da questo aspetto sono interessati solo i fisioterapisti liberi professionisti.
In sostanza, è un fondo dove gli appartenenti ad una categoria professionale versano periodicamente dei soldi.
A pagare le pensioni degli appartenenti alla categoria.
Occhio perché non parliamo delle pensioni dei fisioterapisti dipendenti, come già dicevo prima è solo per i liberi professionisti.
I dipendenti versano i contributi della busta paga direttamente all’INPS tramite il datore di lavoro. Non se ne accorgono nemmeno perché ricevono direttamente il netto, mentre i liberi professionisti prendono tutto al lordo e poi devono pagare le tasse e i contributi a parte.
No, assolutamente no.
I contributi previdenziali (cioè i soldi che versi oggi e che un giorno - si spera - diventeranno la tua pensione) comunque vengono versati ogni anno dai fisioterapisti autonomi, insieme alle tasse.
Per chi se la fosse persa, ricordiamo la differenza tra tasse e contributi, di cui avevamo già parlato in questo articolo. Le tasse vanno allo Stato e finanziano le spese pubbliche, come gli stipendi di insegnanti, forze dell’ordine e infrastrutture. I contributi vanno all’INPS (o per chi ce l’ha, alla cassa previdenziale di appartenenza) e servono a finanziare le pensioni.
Quindi i fisioterapisti a Partita IVA comunque versano i contributi, e non avendo una Cassa Previdenziale dedicata, devono versarli all’INPS - alla cosiddetta “Gestione Separata” dell’INPS.
La Gestione Separata dell’INPS è una sorta di calderone che raccoglie i soldi per le pensioni di tutti quei professionisti e artigiani che non hanno una Cassa Previdenziale.
Quali professionisti hanno una cassa previdenziale? Ce l’hanno parecchie categorie, ma per fare alcuni esempi: avvocati, commercialisti, ingegneri.
Il vantaggio della Gestione Separata è che non prevede una parte fissa, quindi dovrai pagare i contributi in proporzione al tuo guadagno effettivo.
Lo svantaggio della Gestione Separata invece è relativo alla percentuale dei contributi da versare che è molto alta (26,23%) se paragonata a quelle delle previste dalle altre casse previdenziali, che invece si aggira intorno al 15%.
Quindi, di solito se c’è una Cassa Previdenziale si può scegliere di versare il minimo, che è fisso e di solito è abbastanza abbordabile.
Se poi vogliamo (perché versando sempre il minimo dei contributi, si prenderà il minimo della pensione) possiamo aggiungere quando potremo permettercelo.
Invece con la Gestione Separata si versa praticamente un quarto di quanto abbiamo effettivamente guadagnato, sempre. Non equivale però al 26% quanto abbiamo fatturato durante l’anno, il calcolo è questo:
Antonio è un fisioterapista in regime forfettario. Nel 2022 ha fatturato 15.000€. Quanti contributi dovrà pagare?
15.000€*67%=10.050€ è la base di calcolo dei contributi
10.050*26,23%= 2.636€ sono i contributi per l’anno 2022
2.626,11*80%= 2.108€ anticipo contributi anno 2023
Tra contributi e anticipi, si arrivano a pagare €4.744. E ci sono ancora le tasse!
Quindi, sarebbe bello rivedere questo sistema, soprattutto per chi inizia.
La Gestione Separata non è esente da difetti, ma ciò non toglie che le difficoltà per istituire una Cassa Previdenziale ci siano.
Anzitutto, non siamo (ancora) una professione con un proprio Ordine (ora siamo nell’Albo TSRM-PSTRP che è condiviso con altre 18 Professioni Sanitarie).
Inoltre, se si istituisce una Cassa Previdenziale bisogna ricordare che servirà a pagare le pensioni, e che quindi i conti devono quadrare sul lungo periodo.
I fisioterapisti in Italia sono circa 60mila. E attorno al 40% del totale dopo 5 anni dalla laurea è a Partita IVA.
Quindi, bisogna capire se il numero di potenziali iscritti sia sufficiente per fare i nostri interessi, oppure siamo talmente pochi che affinché la Cassa riesca a garantirci una pensione l’aliquota debba essere ancora più alta della Gestione Separata, peggiorando le cose.
Chiaramente sono speculazioni di qualcuno che non è del settore assicurativo/pensionistico, e magari la soluzione è molto più semplice di così e i calcoli sono già stati fatti.
Intanto vediamo come evolve la situazione, all’istituzione dell’Ordine Autonomo dei Fisioterapisti potrebbero esserci interessanti novità.
Su questo punto, le cose stanno gradualmente cambiando.
La professione è cambiata tanto negli ultimi 20-30 anni, e l’impressione di molti è che ci sia ancora un ricorso eccessivo alla medicalizzazione nonostante gli avanzamenti nelle conoscenze per la gestione delle condizioni muscolo-scheletriche.
Ciò significa che ci sono tantissimi casi in cui potrebbe intervenire un fisioterapista, ma i pazienti per inesperienza o per abitudine si rivolgono ai medici, aumentando (spesso ingiustificatamente) il carico sul sistema sanitario nazionale (anche perché i medici sono pochi e le liste d’attesa si allungano).
La situazione in Italia però è migliorata sensibilmente.
Restano comunque dei punti aperti: è vero che l’autonomia dei fisioterapisti sta aumentando, creando addirittura nuove figure di comunità, ma molti fisioterapisti lamentano i limiti che ci sono a livello di possibilità di fare diagnosi.
Per chi si fosse perso un precedente articolo, al paziente non serve la prescrizione del medico per fare fisioterapia da un fisioterapista privato, ma resta il fatto che il fisioterapista non può fare diagnosi.
Può fare una cosa che si avvicina ad una diagnosi, e che il nostro Codice Deontologico descrive così:
Il Fisioterapista effettua la valutazione fisioterapica attraverso l’anamnesi, la valutazione clinico-funzionale e l’analisi della documentazione clinica prodotta dalla persona assistita. La diagnosi fisioterapica, o una sua coerente ipotesi, costituisce il risultato del processo di ragionamento clinico ed è preliminare all’intervento fisioterapico. Nel caso in cui il processo diagnostico sia insufficiente o nel caso in cui si evidenzino dati che vanno al di là delle proprie conoscenze o competenze, il Fisioterapista inviterà la persona assistita ad effettuare ulteriori approfondimenti.
Che significa? Che non possiamo fare diagnosi, ma possiamo prendere decisioni in autonomia sul trattamento da condurre sulla base di una sintesi di tutte le informazioni che abbiamo.
Queste informazioni le raccogliamo parlando con il paziente, vedendo i referti di controlli precedenti, e così via.
Questa procedura prende il nome di diagnosi differenziale (o screening for referral per chi vuole fare lo splendido).
Molti fisioterapisti richiedono banalmente di poter fare diagnosi nel senso più specifico del termine.
Io onestamente non ho opinioni in merito. Chi lo dice che dobbiamo sempre averne una?
Sarà che sono abituata a questo sistema (e lo so, così si ferma l’innovazione, ma bisogna dedicare le proprie forze alle cause che riteniamo giuste. Nel mio caso - e in questo periodo -, la mia causa è raccontare la professione e aiutare chi inizia in questo campo. Nel caso di qualcun altro sarà aumentare l’autonomia dei fisioterapisti).
Anche perché ho notato che parlando di quest’argomento si tende a semplificare all’estremo arrivando a conclusioni del tipo:
“Non possiamo fare diagnosi noi perché deve farle il fisiatra! Aboliamo la figura del fisiatra, che fa solo danni!”.
A parte che ovviamente è assurdo che i fisiatri facciano “solo danni”, ma non so nemmeno quanto sia costruttivo ridurre tutto ad una lotta tra tifoserie.
Insomma, chiudiamo senza dare risposte, ma con ancora più domande:
Per concludere, riassumiamo: a parte un ricorso alla medicalizzazione (che si può ancora ridurre) e le limitazioni sulle diagnosi (che una parte di noi migliorerebbe), l’autonomia dei fisioterapisti è aumentata notevolmente negli ultimi anni, e la comunità scientifica concorda che aumentando ancora avrebbe risvolti positivi sui sistemi sanitari di tantissimi paesi del mondo (Italia inclusa).
E qui veniamo all’aspetto che più interessa a chi inizia.
Non ho dubbi che se si chiedesse ad un fisioterapista: “Cosa miglioreresti dell’Università?”, molti risponderebbero con una di queste:
Sull’ultimo punto non mi esprimo, in fondo questo sito è nato anche per sopperire alla mancanza di informazioni utili per i neo-fisioterapisti su questi aspetti (come fare le fatture, gestione della Partita IVA con tasse e contributi, marketing per trovare nuovi pazienti, ecc.).
Mancanza di informazioni che dopo la laurea ho avvertito parecchio, e che documentando e condividendo spero facciano risparmiare a qualcun altro tutte le pene e le conversazioni incomprensibili avute con il commercialista nel corso degli anni.
In generale comunque, tutti e tre i punti si possono riassumere in unico intento: togliere l’inutile per far spazio all’utile.
La percezione è che l’università sia sempre troppo scollegata dalla realtà, e che ci sia bisogno di dare spazio a cose più pratiche e operative.
Per la media delle lauree italiane fisioterapia secondo me è ben sopra la media a livello di praticità, confrontandomi anche con parenti, amici e conoscenti che hanno studiato altro, ma non è abbastanza e si può sempre migliorare.
Il Parlamento si è attivato di recente, come dicevamo qui, per riformare le lauree magistrali di Fisioterapia - perché ritenute troppo manageriali e poco utili a formare effettivamente fisioterapisti.
Per via di questa situazione strutturale, il ruolo di insegnare metodiche e procedure riabilitative da decenni è delegato ai corsi post-laurea, ai master e a tutta un’industria degli ECM, che secondo me troverà il modo di sopravvivere anche se le cose cambiano nel mondo universitario.
Tornando a come i fisioterapisti cambierebbero le cose, anche qui ho sentito ipotesi particolari: chi propone una laurea magistrale a ciclo unico, con l’abilitazione dopo i 5-6 anni, come per odontoiatria. Chi dice che sarebbero ideali 4 anni al posto dell’attuale triennale, chi dice di mantenerne 3 ma togliere le materie inutili.
Insomma, sull’università le richieste sono le più disparate, ma in fondo quello che si spera di ottenere è una maggiore connessione tra quello che si studia e il lavoro nella vita reale.
Comunque, detto ciò mi piacerebbe aggiungere una piccola nota a margine: è strano come quando salta fuori l’argomento università, tutti i fisioterapisti hanno un’opinione e danno consigli molto sensati e concreti.
Nonostante a loro non importa più nulla, visto che si sono già laureati.
E quindi questo desiderio di voler migliorare qualcosa che non ci interessa più, ma che dovrà invece affrontare qualcun altro, mi fa sempre sorridere perché è un inaspettato (e diffusissimo) gesto di altruismo.
Se davvero hai letto fin qui, complimenti!
Da scrivere è stato bello lungo, ci sono voluti dei giorni (e non ti dico quante parti ho rimosso).
In ogni caso, le tre cose che i fisioterapisti vogliono cambiare… stanno cambiando. E per me è una buona notizia.
Vuol dire che nella categoria c’è coesione, e per quanto si riconoscano i problemi e i punti migliorabili, si cerca di andare avanti. Anche se per la complessità dei problemi a volte si avanza lentamente, ma l’importante è che si avanzi.
Detto questo, spero che questo articolo ti sia piaciuto.
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Grazie per aver letto fino a qui, a presto!
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